Omaggio ad Albino Galvano nel foyer di Porta Teatro del Casinò di sanremo

 

Omaggio ad Albino Galvano

 

Dal 30 maggio nel foyer di Porta Teatro Omaggio ad Albino Galvano sino al 18 giugno.

Inaugurazione martedì 30 maggio ore 16.00

 

Dopo il successo dell’esposizione “Musica Ribelle” organizzata in collaborazione con la Fondazione Cento Fiori di Savona e con il Circolo degli Artisti di Albissola martedì 30 maggio viene inaugurata l’altra prestigiosa  mostra dedicata a Albino Galvano, curata dalla Dott.sa Daniela Lauria.  Albino Galvano, nato a Torino il 16 dicembre 1907, dove morì il 18 dicembre 1990, è stato un filosofo italiano, apprezzato pittore e storico dell’arte.

“La sperimentazione e la ricerca sono le note dominanti che caratterizzano la poliedrica attività di Albino Galvano, divisa tra la professione di artista e quello di critico . Nella prima fase della sua attività di pittore prevale l’influenza della “scuola di Via Mazzini” a Torino, animata da Felice Casorati, da lui scelta come rimedio alle poetiche del Novecento.

Appartengono a quegli anni opere in cui emerge la sua totale adesione al postimpressionismo, la cui diffusione nel capoluogo piemontese, inoltre, era dovuta al fondamentale apporto del gruppo dei Sei di Torino, giovani artisti decisi a rinnovare le tendenze imperanti sull’onda degli echi della fervida ricerca d’Oltralpe. A questo periodo, pertanto, sono ascrivibili la serie dei pesci, i nudi e le bottiglie, in cui i soggetti delle tele vengono volutamente trattati con una certa libertà della sensazione visiva, contro la fissità classicheggiante novecentista. Galvano stende il colore con pennellate lunghe, dense e cariche di materia cromatica, modellando direttamente le immagini, spesso deformandone e alterandone le proporzioni in chiave psicologica. Ne risultano opere intense e cariche di tensione emotiva, con le quali fa il proprio esordio alle diverse edizioni delle Biennali di Venezia del 1930,1936 e alle Quadriennali romane del 1931 e del 1935.

Nello stesso periodo, porta a compimento i propri studi presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Torino in cui approfondisce l’interesse per la pedagogia della religione e per l’arte extraeuropea. In questi anni, inoltre, si dedica all’attività critica. Galvano si dichiarerà sempre strenuo sostenitore della necessità di tutelare e preservare l’indipendenza della ricerca artistica, la quale, secondo il suo punto di vista, avrebbe dovuto essere completamente avulsa da ogni impegno ideologico e programmatico

Negli anni successivi la sua pittura intraprende una fase espressionista: i dipinti esposti alla Biennale veneziana del 1948 risultano essere caratterizzati da una significativa semplificazione dei contorni lineari e dall’uso di un cromatismo bidimensionale. Intorno al 1950, si avvicina all’astrazione, dando vita alla sezione torinese del Movimento Arte Concreta (MAC), insieme a illustri esponenti, come ad esempio Carolrama e Paola Levi Montalcini. Alle indagini intorno al significato dell’arte astratta, inoltre, dedica alcuni scritti che ne rintracciano legami con le fonti spiritualiste del decadentismo, esaltandone il contenuto simbolico. Nel secondo dopoguerra, si apre alle nuove istanze dell’arte Informale. Come ben sottolinea l’amico e critico Carlo Giulio Argan che, nel testo in catalogo, in occasione della Biennale di Venezia del 1956, non manca di sottolineare come ormai Galvano sembra aver superato la figurazione per affidarsi a nuove soluzioni espressive in cui prevale l’energia gestuale e segnica, finalizzata a far emergere le qualità tattili e psico-percettive del colore.

Il recupero della figuratività viene avviato a partire dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, in cui dà vita a una serie di dipinti dedicati all’Iris. Si tratta di un tentativo estremamente raffinato di guardare, mediante questi fiori, al barocco e all’art nouveau. Anche in queste circostanze, accompagna la ricerca artistica a quella filosofica, pubblicando volumi in cui è chiaro il riferimento alla riflessione sulle istanze della ragione e dell’irrazionalità, con rimandi al pensiero di Nietzsche e di O. Spengler, di C.G. Jung e di L. Klages. Si tratta in realtà di un raffinato processo di riflessione personale. A questa nuova fase appartengono la serie delle tele da lui stesso definiti neo – liberty, in cui egli diviene fermo assertore del potere emblematico dell’immagine. Successivamente, intorno alla metà degli anni Sessanta realizza i cicli dei nastri, delle bandiere, per approdare a opere come ad esempio Cespugli in cui la natura diventa soggetto privilegiato di indagine da parte dell’artista che, mediante la sua capacità di saper cogliere oltre alle apparenze, ne focalizza il significato profondo, condizione indispensabile per penetrare il mistero che si cela dietro al reale. (Daniela Lauria)

La redazione